ischemia critica quando operare - studio medico eur

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Antonio Lorido - MioDottore.it

L’ischemia critica (CLI) è la forma più avanzata di arteriopatia periferica e comporta gravi implicazioni cliniche in termini di morbidità e mortalità. Entro 1 anno, infatti, dalla diagnosi, metà dei pazienti diabetici con CLI andrà incontro ad amputazione ed un quarto morirà. Hanno infatti un rischio di morte cardiovascolare 3-5 volte maggiore rispetto ai pazienti non affetti da ischemia critica.

E’ per questo motivo che, il trattamento e la gestione del paziente affetto da CLI, non deve finalizzarsi esclusivamente nel tentativo di salvataggio d’arto con un intervento di rivascolarizzazione periferica – ma anche e soprattutto – nell’ottimizzazione della terapia medica e il controllo dei fattori di rischio.

Le linee guida (AHA) individuate dall’autorevole American College, hanno evidenziato come l’assunzione di: acido acetilsalicilico (associato o meno al clopidogrel), farmaci beta- bloccanti e ipolipemizzanti come le statine, rappresentino il gold standard della terapia medica nella prevenzione della mortalità cardiovascolare nei pazienti affetti da ischemia critica degli arti inferiori, riducendone significativamente il tasso di insorgenza.

Gli obiettivi e risultati dell’intervento in caso di Ischemia Critica

Le finalità del trattamento chirurgico di rivascolarizzazione è quello di garantire un flusso adeguato in periferia tale da alleviare il dolore ischemico a riposo o favorire la guarigione delle lesioni trofiche, associando, in questo caso all’atto chirurgico, ove necessario, interventi demolitivi minori, terapia antibiotica mirata e trattamenti locali con medicazioni.

Il trattamento di salvataggio d’arto può essere effettuato per via endovascolare o con una rivascolarizzazione chirurgica tradizionale.
Non esistono, ad eccezione del Basil Trial, studi randomizzati in grado di definire quale sia il gold standard di trattamento del paziente affetto da ischemia cromica (CLI). Molteplici studi osservazionali pubblicati ed ampie revisioni, spingono, però, il chirurgo vascolare soprattutto alla luce delle molteplici comorbidità del paziente, ad un approccio iniziale a minor invasività possibile, prediligendo il trattamento endovascolare, condotto in anestesia locale, e che prevede tempi operatori e di degenza post-operatoria limitati.

L’evoluzione tecnologica, inoltre, ha permesso lo sviluppo e l’introduzione in commercio di nuovi presidi in grado di migliorare i risultati di pervietà a distanza. L’utilizzo di stent (DES), ma soprattutto di cateteri a palloncino a rilascio di farmaco (DEB) ha rivoluzionato l’approccio e l’indicazione nel trattamento dei pazienti affetti da CLI. Si tratta di palloni per angioplastica che nel momento in cui vengono dilatati rilasciano un farmaco antimitotico (paclitaxel) in grado di inibire la proliferazione cellulare nella tunica media del vaso, responsabile a distanza del fallimento della procedura con insorgenza di restenosi. Utilizzabili sia nel distretto femoro-popliteo che tibiale, hanno dimostrato la miglior efficacia rispetto alla PTA semplice come evidenziato in diversi trial randomizzati. Nel DEBATE-BTK trial randomized DEB v/s PTA, infatti, sono stati trattati 132 pazienti diabetici affetti da CLI. Ad un anno il tasso di restenosi è stato del 27% nel primo gruppo v/s 74% nel gruppo della semplice PTA (p < 0.001).

Altro aspetto estremamente importante nel trattamento dei vasi tibiali per via endovascolare è rappresentato dalla possibilità di effettuare la rivascolarizzazione seguendo il concetto dell’angiosoma, ovvero la perfusione diretta della regione anatomica lesionata, garantendo frequentemente, come evidenziato in letteratura, la completa guarigione ed il salvataggio d’arto. Non sempre però ad un successo tecnico, endovascolare o chirurgico nel salvataggio d’arto, corrisponde un successo clinico. I pazienti, infatti, con limitatata spettanza di vita, paresi o contrattura in flessione dell’arto, sepsi grave o con lesioni gangrenose estese del piede, cioè pazienti che si gioverebbero scarsamente di una rivascolarizzazione, devono essere valutati per un’eventuale amputazione maggiore primaria.

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